Recentemente è stato avviato un progetto di invito alla teologia e alla filosofia presso la Casa circondariale di Bologna. Si tratta di un’esperienza di insegnamento della teologia a livello universitario con un gruppo di persone detenute presso il carcere bolognese. Alcuni professori della Facoltà Teologica e dell’ISSR di Bologna, dell’ISSR della Toscana e di Rimini insieme con alcuni Dehoniani – e alcuni studenti esterni come tutor – si alterneranno per svolgere un’introduzione ai temi di base della teologia, della rivelazione, della storia del cristianesimo, dell’esegesi e dell’etica.
Le lezioni vengono svolte in modo adatto al contesto del tutto particolare del carcere, quindi in maniera seminariale e dialogica e con una chiave pluralista, interreligiosa (con un’attenzione specifica all’Islam) e storica. L’esperienza mira a rendere possibile un’istruzione di natura universitaria per i ristretti presso il carcere: nello stesso modo in cui diversi detenuti possono iscriversi a diverse facoltà dell’Università di Bologna e studiare, ad esempio, diritto, filosofia, storia, economia, si desidera rendere possibile, dal prossimo anno, iscriversi e studiare presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose.
È una occasione importante per più ragioni:
- La teologia, la filosofia, la riflessione interreligiosa possono contribuire nel dare strumenti importanti di riflessione personale e crescita intellettuale per chi passa anni o decenni presso l’istituzione carceraria.
- La teologia viene messa alla prova in un contesto difficile e spesso drammatico con domande non facilmente aggirabili. Questo corpo a corpo con la realtà umana e sociale più dura può aiutare la teologia cristiana – talora tentata di parlarsi addosso o i del
- Nel contesto carcerario, l’intreccio unico tra vicende umane, problemi sociali, istanze di giustizia ed esperienze di ingiustizia, valori costituzionali e correlative smentite, ricerche di senso e di Dio, può favorire una riflessione teologica in grado di dare un contributo anche civile, nel senso con cui Aldo Moro descriveva – in un bellissimo testo del 10 aprile 1977 – la ricerca comune di una società più giusta:
“Tutto quello che si muove nel mondo, sia nel chiuso insondabile delle coscienze sia nella grande arena del collettivo e dell’esterno, ha la stessa molla che lo muove, la stessa difficoltà che lo mette alla prova, lo stesso sforzo e sacrificio che lo contrassegna, la stessa nobiltà di un traguardo esaltante. Possiamo tutti insieme, dobbiamo tutti insieme sperare, provare, soffrire, creare, per rendere reale, al limite delle possibilità, sul piano personale come su quello sociale, due piani appunto che si collegano e s’influenzano profondamente, un destino irrinunciabile che segna il riscatto dalla meschinità e dall’egoismo. In questo muovere tutti verso una vita più alta, c’è naturalmente spazio per la diversità, il contrasto, perfino la tensione. Eppure, anche se talvolta profondamente divisi, anche ponendoci, se necessario, come avversari, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere di andare più lontano e più in alto. La diversità che c’è tra noi non c’impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana. Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.